Ho concluso a fine gennaio la mia visita in Portogallo e l'incontro con i Definitori della Penisola Iberica. Questa terra, che un tempo ha visto fiorire una presenza francescana forte e incisiva, oggi mi presenta un volto diverso, segnato dalla fragilità e dall'invecchiamento delle nostre fraternità. Eppure, proprio in questa realtà apparentemente debole, ho scorto i segni luminosi di un autentico pellegrinaggio della speranza.
I nostri fratelli vivono immersi in società profondamente secolarizzate, dove la voce della fede si fa sempre più flebile e dove le nostre presenze si fanno più piccole e umili. Le grandi strutture del passato, che un tempo parlavano di una presenza forte e visibile dell'Ordine, oggi ci appaiono come vestiti troppo larghi per le nostre fraternità ridotte. Ma è proprio in questa vulnerabilità che ho riconosciuto una grazia particolare: quella di riscoprire l'essenziale della nostra vocazione di fratelli minori.
Ho visto frati che, pur nella loro età avanzata, continuano a vigilare nell'attesa, come sentinelle che scrutano l'orizzonte. Non si limitano a custodire le memorie di un passato glorioso, ma sanno leggere i segni dei tempi con occhi di fede. La loro fedeltà alla vocazione, vissuta in un contesto che spesso appare indifferente o ostile, diventa essa stessa una profezia silenziosa.
Questa nuova minorità non è frutto di una strategia o di una scelta programmata, ma è l'accoglienza umile di una condizione che ci viene donata. In essa riscopriamo la grazia di essere semplicemente fratelli che camminano con il loro popolo, condividendo le inquietudini e le speranze di questo tempo. I gesti quotidiani di prossimità, l'ascolto paziente, la preghiera fedele, diventano i luoghi dove si manifesta la promessa di Dio che continua a compiersi nel mondo.
Ho incontrato fraternità che hanno saputo fare della loro debolezza una forza, non cercando più il prestigio o la rilevanza sociale, ma testimoniando con umiltà la bellezza di una vita donata. Alcuni frati mi hanno condiviso come questa condizione di maggiore povertà numerica e strutturale li abbia aiutati a riscoprire la gioia delle piccole cose, l'importanza delle relazioni autentiche, il valore della presenza silenziosa ma fedele.
Non mancano certo le preoccupazioni per il futuro, le domande su come accompagnare questo processo di trasformazione, le incertezze su come gestire strutture e presenze che non possiamo più mantenere. Ma ho visto che dove c'è la disponibilità ad accogliere questa nuova stagione come un tempo di grazia, là fioriscono anche germi di novità inaspettata.
Questo pellegrinaggio nella Penisola Iberica mi ha ricordato che la speranza non è legata ai numeri o alle strutture, ma alla fedeltà creativa con cui sappiamo vivere il nostro carisma oggi. La promessa di Dio continua a compiersi, forse in modi che non avremmo immaginato, attraverso la testimonianza umile di fratelli che sanno essere "minori" non solo nel nome, ma nella concreta condizione della loro vita.