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Celebrare il Natale di Greccio 1223-2023

Tommaso da Celano, quando presenta il racconto della celebrazione del Natale a Greccio, fa riferimento alle motivazioni che spingono Francesco d’Assisi ad allestire il presepio e a celebrare l’Eucaristia in una grotta. Il Poverello si ferma a Greccio perché vuole considerare la concretezza dell’Incarnazione, cioè la semplicità, la povertà e l’umiltà del Figlio di Dio «che con amore infinito ha donato se stesso per noi» (1 Celano 87, FF 471). La stessa dinamica la troviamo nella contemplazione dell’Eucaristia. Infatti, Francesco ci invita non solo a vedere con gli occhi del corpo ma anche a contemplare con gli occhi dello spirito l’umiltà e la concretezza dell’amore divino, che si offre nell’Eucaristia: «Ecco, ogni giorno egli si umilia, come quando dalla sede regale discese nel grembo della Vergine; ogni giorno egli stesso viene a noi in apparenza umile; ogni giorno discende dal seno del Padre sull’altare» (Ammonizione I, 16-18, FF 144).

Celebrare come Famiglia Francescana il centenario del Natale di Greccio è un invito a fermarci di fronte al mistero dell’Incarnazione per contemplare la grandezza dell’amore divino per l’umanità. Il Figlio di Dio diventa anche Figlio dell’uomo, diventa uno di noi, nostro fratello (cf. Lettera ai fedeli, 2a redazione 56, FF 201). La nostra fede nell’Incarnazione ci sollecita a scoprire i semina Verbi presenti in tutte le culture e nella società contemporanea, in modo tale di far fiorire i semi di umanità che vi si trovano. Inoltre, ci spinge non solo a difendere la vita ma anche a diventare strumenti di vita e di umanità nelle nostre famiglie e fraternità, fino a raggiungere coloro che non sono considerati più umani, ma solo scarti sociali. La concretezza con cui Francesco d’Assisi ha celebrato il mistero dell’incarnazione a Greccio, ci invita a recuperare la consapevolezza «che siamo depositari di un bene che umanizza, che aiuta a condurre una vita nuova. Non c’è niente di meglio da trasmettere agli altri» (Evangelii gaudium 264).

Durante il giorno di Natale, il Poverello pregava insieme con i suoi confratelli: «Questo è il giorno, che ha fatto il Signore: esultiamo in esso e rallegriamoci! Poiché il santissimo bambino diletto ci è stato donato e per noi è nato lungo la via e fu deposto in una mangiatoia, perché non c’era posto nell’albergo» (Ufficio della Passione XV, 5-7, FF 303). Ricordare il centenario del presepio di Greccio ci invita a considerare non solo qual è il posto che Gesù occupa nei nostri cuori, ma anche se lì c’è posto per coloro con cui Egli ha voluto identificarsi: «In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me» (Mt 25, 40). Cristo Gesù, con la sua Incarnazione, ha eliminato tutte le distanze che lo separavano dall’umanità e ci chiama a fare lo stesso, cioè a farci prossimi dei nostri fratelli e delle nostre sorelle per accoglierli, per toccarli con misericordia, come ci ricorda il Magistero della Chiesa: «San Francesco, con la semplicità di quel segno, realizzò una grande opera di evangelizzazione […] In modo particolare, fin dall’origine francescana il presepe è un invito a “sentire”, a “toccare” la povertà che il Figlio di Dio ha scelto per sé nella sua Incarnazione. E così, implicitamente, è un appello a seguirlo sulla via dell’umiltà, della povertà, della spogliazione, che dalla mangiatoia di Betlemme conduce alla Croce. È un appello a incontrarlo e servirlo con misericordia nei fratelli e nelle sorelle più bisognosi» (Admirabile signum 3)

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